Cordoglio per un ricordo

L’altro pomeriggio mia moglie mi ha chiesto se ricordavo una cena di quando eravamo fidanzati. Ma sì, dai, una cena al ristorante cinese. Campanellini e flauti di bambù suonavano la solita fluttuante musica di sottofondo. C’era una ragione per cui quella tappezzeria di note ci aveva suggerito l’immagine di un richiamo per gatti. 

“Ti ricordi come avevamo definito quei gatti?”

Una sassata tra le sinapsi. Schegge di corteccia cerebrale dappertutto. 

A lei sfuggiva un aggettivo, a me l’intero episodio. 

Ovviamente tutti quegli ingredienti presi uno per uno erano presenti in qualche dispensa della memoria. Le cene al ristorante cinese sono nello scaffale in alto. E accanto c’è la torre di scatolette, sempre in bilico, in cui invecchiano quelle scale musicali più elaborate dei rituali a corte delle famose dinastie. Le battute sui gatti, poi, sono sempre a portata di mano. Eppure quando combinavo insieme gli ingredienti non veniva fuori nessuna pietanza. Solo denso fumo bianco. Un intruglio inodore e insapore. 

C’è poco da sforzarsi. Un’amnesia ha impresso un’anticipata data di scadenza a un succulento boccone di sera complice, la bocca stipata di noodles, baci e risate.  

Come saranno stati quei gatti? Isterici? Rivoluzionari? Macilenti? Esasperati? 

Più probabilmente era una battuta a sfondo razzista. (Morituri! Fritti fritti! Pelsiani!). Siamo stati fidanzati in tempi politicamente scorretti.  

Un minuto di intesa in cui lei ha riso (quando lei ride, tutto il mondo ride!) è sparito dalla mia esistenza. Ho provato come un cordoglio per quel ricordo innocente a cui la memoria ha lasciato la manina in mezzo a una folla di nonne con teglie di paste al forno fumanti in processione, torte di compleanno preparate in casa, pizze prese a morsi la domenica a bordo di una Punto blu, faccine sporche di salsa di pomodoro, sere di Natale, cenoni, partite a Dixit, finali di coppa con spaghettate, risotti agli asparagi appena colti, birre rosse che ti hanno elargito fiato e coraggio salendo a piedi le 300 basole di Ibla.   

Un ricordo con la testa grande e i capelli ancora biondo chiaro, con la sua andatura da pinguino, finito chissà dove. Povero piccolo ricordo, tirato giù per la manica in un pozzo buio o portato via oltre le pietre di confine della memoria, rapito a bordo di un trabiccolo trainato da melodici gatti crudeli.