Il canneto cade improvviso sulla veduta della spiaggia di Playa Grande.
Una benda verdastra sulle volontà del panorama.
Non sembra avere ambizioni da siepe di Recanati. L’indifferenza sì, forse.
Eppure il giovane infelice e favoloso 200 anni fa ci ha insegnato il gioco e le sue regole e non riesco a sottrarmi dal tentare alcune mosse con lui sulla scacchiera dell’immaginazione. Una città elettrica, silenziosa, ordinata da algoritmi. In un qualche domani.
Il profumo del sego, sulle lunghe travi nordiche sotto una nave pronta al varo. E la secca del suo naufragio, la bagnata agonia del fasciame e dello scheletro.
Un villaggio del neolitico da cui si levano abbozzi di parole e un filo di fumo.
Giona, un burattino, ventimila leghe, un campanile che sorge da una spianata d’acqua.
Due persone dai lineamenti imprecisi che però conosco e si tengono per mano.
Incasso in tre mosse il matto (i sovrumani silenzi, le morte stagioni, io nel pensier mi fingo). Non c’è partita.
Non potrebbe esserci mai contro quella testa e quel cuore.
Rimane la lezione per cui nessuna mossa è arrischiata nelle avventure della fantasia.
Tanto meno scoprire un mare infinito dietro la siepe.
Io sono circondato dal mare reale.
E d’un tratto mi accorgo che al di qua ho la gioia che Giacomo non ebbe mai: un bambino e la sua palla finita nel canneto di Playa Grande.
Vieni, andiamo a vedere cosa c’è dietro!