La guerra di Wim

“René, tu c’eri a Monaco, negli spogliatoi della Finale di Coppa del Mondo del 1974, vero?”

“Altro che, se c’ero. Ci ho lasciato una tanica di lacrime. Tu spari ricordi come fucilate. Che bisogno c’è, sentiamo”.

“Ti ricordi di Wim? Willem van Hanegem?”

“Wim lo Storto, ma certo!”

“Storto, ma a me quel gobbo dai piedi fatati piaceva più di Cruijff. Era più schietto e si dava meno arie. Oppure mi stava simpatico perché, come noi, neanche lui era iscritto a quell’esclusivo club per fotomodelli dell’Ajax…“

“A me toccava una corda emotiva strana. Non so, Wim pareva storto dentro. Aveva ingobbita l’anima, lo vedevi subito. Quella sera, nello stanzone stava seduto in disparte, accovacciato a legarsi gli scarpini. Strinse il sinistro con una furia tale da schiantare la stringa”.

“Chiuso come una bestia che si stia gonfiando di rabbia. Ma non stava annusando solo una preda a forma di Coppa del Mondo…”

“Certo no. L’arbitro viene e fa la burocrazia del riconoscimento. Wim misurava il pavimento con quei suoi passi storti, da lupo. Uscito l’arbitro e le sue raccomandazioni (fair play, boys), sembrava in trance. Ringhiò: “Schiacciamo i tedeschi, loro hanno ucciso la mia famiglia, io li odio! Li odio!”

”Non era lì con voi, nel ventre dell’Olympiastadion…”

“No. Nel settembre del 1944, lui aveva sette mesi e viveva in un villaggetto di pescatori al sud dell’Olanda. Si salvò per miracolo da un furioso bombardamento nazista che gli uccise il padre, un fratello e due sorelle”.

“Si salvò lui, ma non la sua memoria”.

“Già. Da allora non ha mai trovato pace e ogni volta che incontrava una squadra tedesca ripeteva sul campo di calcio quella battaglia sui cieli della Zelanda. Quella sera a Monaco Wim non voleva vincere la Coppa del Mondo, voleva vendetta!”

“Forse voleva giustizia”.

“Fratello… Beckenbauer, Breitner, Gerd Muller non erano nemmeno nati quando mezza famiglia di Van Hanegem venne distrutta. E certamente quasi nessuno degli 80.000 spettatori tedeschi aveva mai ucciso qualcuno. Più facile che su quegli spalti sperassero in una vittoria che, una volta tanto, non li schiacciasse sotto un senso di colpa. No, se i figli devono pagare per le colpe dei padri, non è giustizia”. 

“D’altra parte come andò finire è scritto su ogni libro di storia del calcio”.

“Eppure Wim ci aveva eccitati. Fischio d’inizio e schiacciamo i tedeschi. Andammo sull’uno a zero senza nemmeno avergli fatto toccare palla. Nemmeno una volta in due minuti e mezzo. Volevamo umiliarli davanti alla loro gente. Ma quelli seppero riorganizzarsi e noi cominciammo a girare a vuoto. E alla fine vinsero loro”.

“Testa e nervi hanno cominciato ad andare per i cazzi propri, e i piedi da soli sono buoni solo per passeggiare. Io so che a un certo punto qualcuno dei nostri non riusciva più a farsela piacere quella rappresaglia fuori tempo massimo. E tu, fratellone?”

“Cosa vuoi che ti dica, Willy?… Ormai sono passati tanti anni. Lo so, sembra che a volte non cambi mai niente. Wim aveva mille buone ragioni tutte bruciate per tener desto un unico cattivo sentimento. Nemmeno questo cambia: con l’odio si esce sempre sconfitti.“

“Tutti”.

“Tutti”.

“Tutti, tutti! Anche noi che siamo nati ad Helmond, a guerra già finita, e anche quelli di Mosca e di Kiev in una guerra che in troppe parti del mondo, sempre ricomincia”.