“È curioso. Curiosa anzi…”
“Di cosa parli René?”
“Della rinnovata fortuna della categoria del minchia.”
“Devo attivare il parental control?”
“No, no. Nessuna volgarità oltremisura: il minchia, al maschile. Prima dell’ingrossarsi dei palcoscenici sociali il clinicamente minchia si incaricava di una funzione sociale precisa e immancabile, accettata da tutti per antico retaggio.”
“Ho capito, stai parlando del povero Hans, che alla stazione di Helmond conosceva gli orari dei treni meglio del capostazione!”
“Sì Willy. C’era un Hans in ogni paese ed erano gli scemi del villaggio. Quei balocchi umani che prendevano il sole sulla piazza dei natii borghi selvaggi anche in inverno. O portavano il cappotto pure in estate. Non erano esistenze completamente ingrate: un diffuso affetto di fondo riusciva spesso a pareggiare la crudeltà con cui uomini e dei li trattavano ogni maledetto giorno. Erano uomini pubblici, a loro modo. Senza nessuno, ma di tutti, lì nella piazza. Alla prima battuta squinternata, ma pungente ti facevano sorridere. Alla seconda sollecitavano risate e gli davi una sigaretta, ma ora basta. Alla terza gli ammollavi un sonoro ceffone crudele dietro la nuca, che li costringeva a rompere le palle al gruppetto più in là, vicino al prossimo bar. E così via fino a mezzogiorno, poi tutti a casa.”
“Non vorrai dirmi che adesso, invece, con i social, i riflettori puntati sulle tribune di ogni esaltato con diritto di parola, si è creato il villaggio degli scemi? Sei René Van De Kerkhof, mica Umberto Eco.”
“Ma no, dico solo che dovremmo continuare a trattare questi tipi umani come se mantenessero ancora la sacralità originaria. E dovremmo estenderla anche ai contributi della politica. Gli scemi della polis, incredibile a dirsi.”
“Bravo Renè. Una risata. Una risata e una sigaretta. Ma poi uno scapaccione dato bene e via a casa presto, prima che faccia buio.”
“Ché tanta luce ci sta accecando tutti”.